La storia di Tatillo e il funerale di Carnevale

La storia di Tatillo e il funerale di Carnevale

Il giorno prima è il giorno dei bagordi di Carnevale, il giorno dopo è il Mercoledì delle Ceneri, l'inizio della Quaresima. La baldoria del Martedì grasso, quest'anno il 25 febbraio, cede il passo alla sobrietà del giorno dopo, il 26, quello dell'astinenza dalle carni e del digiuno.
Il contrasto è ben evidente nella tradizione del funerale di Carnevale, celebre commedia napoletana che Raffaele Viviani compose nel 1928. Pasquale Capuozzi, chiamato “Carnevale” per la sua taglia smoderata, era un meschino usuraio e, come capita a quelli come lui, quando morì, destò nel nipote Rafele e della domestica 'Ntunetta la speranza di una bella eredità. Capuozzi, però, non era morto affatto e, nella bara, cominciò a dimenarsi a far rumore. Aperto il “tavuto” si scoprì il tragico errore.
Carnevale era vivo.

La figura di Tatillo nella tradizione amalfitana

Questa storia ricorda tanto la tradizione di Tatillo, così cara agli amalfitani che, almeno fino a quattro anni fa, ne mettevano in scena il funerale. Tatillo, così chiamato perché con quel termine si identifica, in dialetto, il nonno, il vecchiarello, veniva sepolto con tanto di bombetta e bastone, col lenzuolo tirato su fino alla cintura e, sopra, una bella pentola di lasagne, qualche salsiccia, un orinale ricolmo di perciatelli al ragù (altro non sono che bucatini) e delle corpose polpette di carne di maiale bagnate dal vino di un bel fiaschetto. .


Tatillo nelle altre regioni del Sud Italia

La rappresentazione, una consuetudine folcloristica per Amalfi, era messa in scena anche in altre località del Mezzogiorno, dove ci si contendeva il ruolo del povero Tatillo, altrove chiamato in altro modo, a seconda del dialetto d'appartenenza.


Come si svolgeva il corteo funebre di Carnevale

Il corteo funebre era seguito da un omone abbigliato da donna chiamato “Quaresima”, che poverina, rimasta vedova, gridava. «È muorte Tatillo! È muorte giovane giovane!». In attesa di un altro bambino, aveva un infante in braccio, mentre il popolo seguiva, con abiti colorati e improbabili per delle esequie, facendo il contraltare: «Ta…til…lo mi…o».
Una nenia che indicava la partecipazione emotiva, ma che aveva un po' il sapore della canzonatura.


Dal tavuto alla tavola imbandita

Si giungeva poi nel luogo dove avveniva il colpo di teatro: Tatillo, o Carnevale, saltava giù dalla cassa da morto e il tavuto diventava una tavola ricca di prelibatezze, dove assaporare l'ultimo pranzo del Martedì grasso. Becchini e popolo tutto “acchiappavano” a mani nude ogni bendiddio, prima portati in processione.
Morte e vita, lutto e colori, digiuno e grandi abbuffate, silenzio e baldoria. È la vita umana, fatta sempre di contrasti stridenti e di repentini passaggi di scena.